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Torbole - È il borgo dei pescatori

Grazie a loro Torbole viveva di pesca, ora è la passione di pochi.
Data di pubblicazione: 14 September 2016

Descrizione

Sul quotidiano "L'Adige", del 13 settembre 2016 è stata pubblicata questa notizia:

È il borgo dei pescatori, grazie a loro. Torbole viveva di pesca, ora è la passione di pochi

TORBOLE - Una volta a Torbole c'erano un hotel, il «Grand Hotel Torbole», e centinaia di pescatori, oggi invece ci sono cento hotel e i pescatori si contano sulle dita di due mani.

I tempi cambiano e così i mestieri, ma la tradizione resiste nella passione di una decina di amatori, i quali, muniti di barca e remi, escono al largo almeno nei fine settimana per gettare gli ami. Di professionisti ce n'è solo uno, a Riva. A Torbole, dove una volta l'economia del paese si reggeva sul pesce, restano pochi ma appassionati pescatori dilettanti.

«Quello che prendo lo regalo agli amici - spiega Andrea Mandelli, per tutti "Megiana", torbolano d.o.c.g. proprietario dell'omonima barca ormeggiata al porticciolo - noi lo facciamo per passione. Io pesco da quando ero un bambino, mi portava mio padre. Ho il ricordo di mio nonno, che era un pescatore». Si possono prendere fino a cinque chilogrammi di pesce al giorno, il limite per i lucci è tre, e solo una trota di lago. In questo periodo, finita la stagione delle sardene , che va da fine maggio a fine luglio, si esce a pesca di persici e lucci.

Canne diverse a seconda del pesce, peschetti, la «tirlindana» (ossia un filo lungo fino a 100 metri che si dirama in tanti ami, ciascuno a una profondità differente, regolata da pesetti): oggi anche l'equipaggiamento per la pesca è cambiato. «Una volta i pescatori avevano barche "alla veneziana", lunghe sei metri, e uscivano in due - spiega il professor Ferdinando Martinelli, torbolano che ha curato una ricerca sulla tradizione lacustre - e tutta la comunità accorreva al porticciolo per assistere allo spettacolo di un "buona pescata"». Fino agli anni '60 e '70, praticamente in ogni casa c'era un pescatore. Commercio e sussistenza.

Si narra che il carpione pescato a Torbole finisse sulla tavola del Doge di Venezia, spedito in casse di ghiaccio o addirittura ancora vivo per mantenerne la freschezza.

Il poeta Goethe, in tempi relativamente più recenti, scrisse dei suoi giorni in paese nel suo Viaggio in Italia: gli uomini, si legge, pescano trote che pesano fino a 25 chili. Forse esagerava. «I lucci possono arrivare a pesare anche sei chili, ma in generale i pesci troppo piccoli vanno liberati» precisa Mandelli, che immancabilmente, nei fine settimana di qualsiasi stagione e meteo, esce sulla Megiana.

«I pescatori avevano il "remat", rete molto grande, fino a 400 metri quadrati, che poi ha dato il nome alla festa del paese - continua Martinelli - e la acquistavano mettendosi insieme, il che costituisce una forma di economia cooperativistica, prima delle cooperative».

Poi è arrivato il turismo di massa, che ha mutato condizioni di vita, economia e urbanistica in paese.

«Sarebbe bello portare avanti questa tradizione, ma vedo che c'è poca gioventù» considera Mauro Fava, detto Pever, pescatore giovane rispetto alla media dei colleghi dilettanti, che nonostante i suoi 37 anni è considerato tra i migliori, sicuramente tra i più appassionati. Mauro è stato iniziato dal padre Adriano, il quale ha messo su una barca il figlio prima che compisse i tre anni. La famiglia ha la pesca nel sangue. «Tredici anni fa ho costruito una barca da solo, l'ho chiamata Macallè - racconta Adriano - che era il soprannome del nonno barcaiolo sul Garda».

Andrea Mandelli spiega direttamente dalla Megiana il suo concetto di pesca: «Puoi anche non prendere niente, ma vuoi mettere la sensazione di stare sul lago in solitudine, rilassarsi e aspettare? Anche questo, non solo la preda, fa la passione per la pesca». C.T.

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Data di pubblicazione
14 September 2016

Ultimo aggiornamento
2022-07-15 17:17:45